Pausa Cicca

Sto studiando in cucina. Vorrei accendermi una sigaretta e godermela nel silenzio della casa vuota. Assaporare ogni istante di pace. La televisione è spenta, mia madre è uscita. Sono alla finestra, muovo freneticamente le dita come a tamburellare l'aria. Guardo fuori, ci sono due operai che lavorano. Tagliano dei tronchi, appuntiti ad un'estremità, come i pali che piantano per attraccare le gondole a Venezia. L'uomo che imbraccia la motosega avrà pochi anni in più di mio padre. E' magrissimo, sotto la tuta arancione si intravedono una camicia blu e un maglione rosso. Porta un cappello di stoffa consumata, con il marchio di una ditta a caso stampato sulla parte superiore, sopra la tesa. Avrà gli anni di mio padre, mi dico. E' sfatto, consumato, le labbra gli si ripiegano nella bocca senza denti, la sua pelle sembra carta stagnola opaca, come annerita dalla fiammella di una candela. E' scheletrico, le sue braccia sottili vibrano ogni volta che i denti della catena mordono il legno. Si ferma un istante, la motosega non da più segni di vita, l'appoggia a terra, si toglie un guanto e scopre una mano ossuta come i rami degli alberi che attendono l'inverno. Dev'essere finita la benzina. Prende un pacchetto di sigarette dalla tasca sinistra della tuta, Marlboro rosse; come mio padre – penso - ne sfila una e se la porta alla bocca rinsecchita che sembra il culo di una gallina. Fa per prendere un accendino, si tasta i pantaloni, il taschino della camicia all'altezza del cuore; niente, pare che non ci sia. Chiede al collega, che avrà al massimo trentanni, e quello con la sua faccia gonfia e corrosa dai capillari esplosi dall'alcol dice che un accendino non ce l'ha, fa un cenno come per dire mi non fumo, con la classica spinta d'orgoglio del non fumatore. Si tasta ancora la tuta, i pantaloni, la tasche fuori misura, e trova l'accendino; finalmente – mi dico- ora se la può fumare quella sigaretta. Alla faccia del mi non fumo. Me l'accendo anch'io una sigaretta, ce la si fuma insieme – penso- e prendo l'accendino alla destra del fornelletto a gas. L'accendo e aspiro lentamente, insieme a lui, godendomi la casa gonfia di silenzio. Ha smesso di piovere da poco. Mia madre sarà ormai di ritorno, è quasi l'una. Avrà gli anni di mio padre, mi dico ancora. E sta lì fuori, al freddo umido che penetra fin nelle ossa, a spuntare tronchi per chissà chi o che cosa. Bella merda, penso buttando fuori il fumo del primo tiro. Si siede a terra, sopra un bancale di legno marcio, sta nello spiazzo della fabbrica di fronte a casa mia. Non ci lavorava più nessuno da ormai cinque, sei anni; le piante sono spuntate fuori a forza dall'asfalto, mangiandosi nel tempo quasi tutto lo spazio circostante al fabbricato senza che me ne rendessi conto. Si fa un secondo tiro, senza avidità. Pare tranquillissimo, i suoi occhi azzurri sono gelidi, rotti da una smorfia che lo fa sembrare eternamente in blue mood. Sono l'unica cosa ancora viva del suo volto - penso facendomi un altro tiro- la fatica non ha ancora prosciugato la forza di vivere di quell'uomo con la sigaretta in bocca, seduto nello spiazzo qui di fronte a me. L'altro tipo se ne sta fermo immobile all'interno della macchina con il braccio meccanico a chela che serve a tener fermi i tronchi. Avrà gli anni di mio padre, una casa, una famiglia e dei figli – mi dico. Chissà cosa starà pensando lui tra un tiro di sigaretta e l'altro. Avrà una moglie e dei figli che a quest'ora saranno di ritorno dalla scuola. Eppure sta qui di fronte a me, buttato a terra come un cristo stanco e un po' scazzato a tirare il fiato. Sarà che oggi non è giornata – mi dico- ma in qualche modo inizio a sentirlo come un amico. Lo capisco, o forse no, ma se sta lì sotto quel cielo gonfio di nuvole che mi ha barricato in casa mezzo depresso deve avere qualcosa, qualcuno per cui farlo. Ci sarà sicuramente – mi dico- un qualcuno che alleggerisca il peso delle sue necessità. Sicuro come la morte, vorrei scendere, andare lì e abbracciarlo, dirgli che in qualche modo credo di capirlo. Mi sento un po' un coglione.


L'uomo asservito all'uomo, l'uomo come macchina e nient'altro di più.

Comments
9 Responses to “Pausa Cicca”
  1. Šareni San says:

    Bella riflessione Jon, ma perchè non approfondire di più i temi dell'ultima riga?

  2. Cez says:

    Secondo me in effetti l'immagine che descrive è proprio ciò che dice nell'ultima frase, nel senso che questi due uomini consumati dai loro vizi inculcati dalla società in cui sono immersi lavorano un tronco dopo l'altro senza pensare a quello che fanno e nel modo in cui lo fanno, si distruggono pur di mantenere le famiglie che li aspettano a casa ma questi due uomini non hanno nessun futuro, addirittura finisce prima la benzina della forza delle loro braccia.
    E in qualche modo chi guarda la scena sente di avere qualcosa in comune con quei due, sente di dover loro un po' di solidarietà, un po' della sua compassione.
    Il disastro dell'assenza di nessun tipo di solidarietà sociale.

  3. Šareni San says:

    @Cez: Chiaro che l'ultima frase è un riferimento al contenuto generale dell'intervento, parlavo di approfondimento in chiave critica di questa realtà, comunque mi piace la tua interpretazione.
    A me ha fatto pensare ad un automa, vuoto, meccanico, e ad un sentimento di rinuncia nei confronti della propria individualità a beneficio del ruolo ricoperto nella società (lavoratore, padre con famiglia a carico, mi ha anche richiamato l'immagine di Luigi Delle Bicocche.
    Quest'immagine "poetica" dà ugualmente da pensare, almeno quanto un'analisi sociologica, ed il post è indubbiamente ben scritto, ma l'ultima riga mi ha lasciato un po' l'asciutto in bocca.

  4. Anonimo says:

    io penso non sia necessario aggiungere altro...
    sono d'accordo con la vostra interpretazione, però un'analisi critica dell'ultima frase avrebbe privato chi legge di interiorizzare le fotografie che vengono fuori da quelle parole..

  5. Šareni San says:

    Mmm, premetto che a me l'intervento piace, e intendevo solo dire che -essendo un argomento degno di attenzione, attuale e di cui si parla poco- sarebbe stata interessante, in aggiunta, un'analisi partendo da quell'ultima riga, che ha indubbiamente molto da dire. Ma... come possono ulteriori immagini diminuire l'interiorizzazione?

  6. Anonimo says:

    tutto l'intervento è fatto di immagini... e si conclude con quella sentenza che sintetizza queste immagini... quindi sarebbe inutile secondo me andare a sviscerare ulteriormente quella riga.. in un altro post, con un'altra impostazione e uno scopo differente, sì... ma qui no. :)

  7. Šareni San says:

    Secondo me sarebbe stata interessante un'analisi affiancata all'episodio descritto, comunque è solo la mia opinione, non voglio imporla a nessuno!

  8. Šareni San says:

    *Anzi, in realtà era anche un'idea per un ipotetico nuovo intervento, non per forza questo... Suggerivo un approfondimento del tema...

  9. schiacciopuntineri says:

    secondo me l'ultima frase, quella lì, quella che parla del culo di gallina, doveva essere messa all'inizio, poi, quella della macchina dell'uomo, lì, dico, quella voleva dirci che ha un'Alfa Romeo.
    senza macchina saremmo solo uomini, quella lì.
    poi per il resto va beh, si capisce, è un post per smettere di fumare.
    Allen Carr anche aveva iniziato il libro con la frase del padre che aveva trent'anni.
    ecco insomma, secondo me va bene così, aspettiamolo postumo.

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